II
Esco
fuori a cena. Non sapevo che mettermi alla fine mia madre mi ha
trascinato fuori a forza. Entriamo al ristorante e mi sento
osservata. In confronto a me sembrano tutte damigelle pronte ad
andare a nozze. Il vestito nero mi sta troppo aderente. Chiedo a
mia madre di farmi sedeei nell’angolo. Sembra sicuro. Al riparo dagli
sguardi. Il cameriere ci porta la lista. La scorro con gli occhi.
Neanche l’ombra di un’insalata. Tutto pesce. Tutto fritto. Lancio
un’occhiata alla porta del bagno. È un bagno di lusso. Ho paura
che qualcuno possa sentire i conati. Devo ancora ordinare e vado già
in panico. Seduto vicino a me un amico di mamma che continua a
cercare il mio sguardo. Mi assicuro che i tagli siano ben nascosti.
Si dia inizio alle danze. Ordino un branzino in crosta con patate.
Patate. troppe calorie. L’attesa mi uccide.
In comunità mi dicevano che l’attesa è terapeutica. Io non ci
trovo nulla di terapeutico. Già mi vedo il piatto davanti. Un
branzino enorme circondato da fin troppe patate. Eccolo. Arriva. Il
cameriere mi sorride. Cazzo sorridi penso tra me e me. Mangio tutto
velocissimo e concludo con quattro bicchieri d’acqua. Con una scusa
sguscio in bagno. Quando entro io entra anche una ragazza dal vestito
verde smeraldo. Panico. La osservo osservarsi allo specchio. Si
aggiusta il rossetto e se ne va. Tiro un sospiro di sollievo. Entro
in uno dei gabinetti. Mi piego a novanta e mi ficco due dita in gola.
Il branzino da venti euro finisce nel cesso. Vorrei ci fosse una
bilancia vicino a me. Vorrei esser sicuro di aver espulso ogni
singola patata. Ma non c’è tempo. Il tempo sembra mangiarmi. C’è
un angolo dove non arrivano mai il freddo e il rumore del tempo dove
posso nascondermi in ogni momento. Mi guardo allo specchio. Vorrei
essere come la ragazza dal vestito verde. Mi lavo via la bava dalla
bocca. Poi un ritocco al rossetto. Cazzo. Ho gli occhi rossi. Provo a
passarci su dell’acqua ma quelli rimangono color sangue. Non c’è
più tempo. C’è un angolo dove non arrivano mai il freddo e il
rumore del tempo dove posso nascondermi in ogni momento. È arrivato
il momento di nascondersi. Arrivo a tavola e tiro fuori il cellulare.
Mantengo gli occhi bassi così che nessuno li veda. Al tavolo parlano
di lavoro. Io dovrei pensare a cercarmene uno. Mamma me lo fa notare.
Sorrido senza alzare gli occhi dal cellulare. È arrivato il momento
di nascondersi. Scrivo a S. che ho bisogno di lui. Mi risponde
subito. S. risponde sempre subito. Gli spiego la situazione in
quattro parole e lui afferra al volo. Mi chiama. Mi alzo di nuovo con
la scusa del telefono ed esco dal ristorante. Rispondo. La voce di
S. è lì ad aspettarmi. Come
stai signorina?.
Scoppio a piangere. Siamo di nuovo insieme nel bel mezzo di una sera
fredda. Mi dice di guardare in alto. Incredibilmente c’è una sola
stella. Sembra che la sua luce filtri su di me. Mi tranquillizza e mi
fa notare che il nostro problema sta nel cercare la bellezza ovunque.
Lo ringrazio e riattacco. Entro nel ristorante. Cerco di smetterla di
cercare la bellezza ovunque. Mi siedo vicino a mia madre. Mi domanda
perché ho il mascara colato sul viso. Le dico che fuori ha iniziato
a piovere. Tutti sono al dolce. Io mi concedo due bicchieri di vino.
È forte. Mi gira un po’ la testa. Alzo la testa e vedo la ragazza
dal vestito verde mangiarsi un dolce con la panna. A smesso di
sembrarmi bella. Ora sono Io al centro dell’attenzione. Io che non
mangio il dolce. Io che sono più forte di tutti. Più forte delle
tentazioni. Mi tocco le braccia. Le ferite mi fanno male. Bevo un
terzo bicchiere di vino. Il ragazzo al mio fianco continua a cercare
il mio sguardo. Io continuo a sfuggirgli. Chiedo a mamma se possiamo
andare. Respinge la mia proposta rifilandomi la scusa della pioggia.
La mia scusa diventa la sua scusa. Guardo la ragazza dal vestito
verde. Si è alzata per andare in bagno. Forse per aggiustarsi il
rossetto. Forse per vomitare anche lei. Aspetto che esca. Cerco i
suoi occhi. Ha le pupille perfettamente bianche. Non è bulimica. E
adesso chi è la più bella?
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